Ho sempre pensato che le mani sono la parte più verace del nostro corpo. Sono quelle che parlano di noi, che ci guidano, che creano ed a volte distruggono ogni cosa. Le usiamo senza badarci, in gesti frequenti per tutta la giornata incessantemente. Quante cose possono fare? Accarezzano, nutrono, puliscono, giocano, scrivono, possono diventare pesanti e nervose in momenti di rabbia e frustrazione... e tanto tanto ancora. Ma più di tutto ho sempre associato le mani al lavoro duro. I miei bisnonni erano contadini, ed il papà di mia nonna, che si chiamava Giovanni, detto Vanni, un uomo alto un metro e novanta con una corporatura robusta ma longilinea, con ampie spalle e le mani grandi, nerborute e piene di calli, teneva gli attrezzi per la campagna in un piccolo casolare affianco alla casa padronale. Da bimba lo seguivo mentre andava a prendere la pala ed il piccone, dal passante dei pantaloni di canapa pesante tirava un legaccio con attaccato all’estremità un cerchio di ferro in cui teneva un mazzo di chiavi. Ne prendeva una di quelle grosse che non si vedono più, se non nei mercatini dell’usato ed antiquariato, ed apriva la porta di legno chiusa da un chiavistello ossidato dal tempo.
Da fuori, con il sole alto in cielo ed il riflesso delle facciate delle case rifinite in calce bianca, li dentro sembrava buio pesto ed io non entravo ed aspettavo fuori, il mio bisnonno entrava a prendere gli attrezzi, e richiudendo l'uscio si calcava sulla fronte il berretto con l'unghia per proteggere il capo dal sole, salutava con un buffetto, mi affidava alla nonna e prendeva la strada verso la campagna. Qualche settimana fa, ricordandolo ad una cena, mia mamma, mi ha detto che suo nonno Vanni era un esperto in botanica, che la facoltà di Agraria dell’Università di Messina mandava spesso nei suoi campi gli studenti ad imparare come si fa la potatura degli alberi. Quell’uomo taciturno, dalle spalle grandi e curvate dal lavoro nella campagna, dal sorriso e dagli occhi buoni, mi ha sempre dato un senso di grande protezione. Mia nonna materna, quando li salutava gli dava del Voi e si congedava con un ‘Si Benedica” – Il Signore Vi benedica. –
Oggi quando mi metto a lavorare nel mio laboratorio risento quel senso di protezione e benedizione, usare le mani per creare qualcosa, così come i miei avi facevano, arando e coltivando i campi, come faceva mia nonna quando si metteva al telaio da ricamo o alla macchina da cucire Singer a pedali, così come quando cucinava le torte e spianava la frolla, sgranava i piselli, e così come fanno e continuano a fare tutte quelle donne laboriose tirate su da generazioni ataviche dal cuore grande; ecco, quel senso di pace che mi da lavorare nel mio laboratorio lo spiego così. Il mio mezzo d’espressione sono le mani, sono loro che comunicano per me, ed io non ho bisogno di parlare.
La settimana scorsa mi sono concentrata sulla cura della newsletter che partirà il 29 Agosto, che conterrà spunti, regali ed un coupon code speciale e quindi se non l’hai ancora fatto, ti invito a iscriverti qui.
Questa settimana invece si apre all’insegna delle scadenze da rispettare, il secondo round del brief per la MIID Summer School si chiude al 25 ed io devo ancora completare due dei tre ai quali mi sono iscritta. Confesso di aver frenato l’entusiasmo e stavo per rinunciare perché mi sono sentita sopraffatta dalla bravura delle altre designer, e come sempre faccio in queste occasioni ho tirato fuori la scorza dell’uovo di Calimero, ed ho avuto un blocco creativo. Poi però ho pensato che non posso sempre scappare dalle sfide, non posso sempre rinnegare i miei sogni e seppur in ritardo ho sgranchito le dita delle mie mani ed ho cominciato a fare uscire i bozzetti dalla punta della matita senza pensare che la prossima settimana la Summer School volgerà al termine e non diventerò di colpo famosa. Ma va bene anche così, probabilmente non vincerò nulla, non sarò nemmeno tra i designer top premier, ma avrò comunque fatto una ricca esperienza che mi ha motivata a rafforzare il mio stile e la mia visione. Partecipare a dei brief che impongono un tema è stimolante, ti fa uscire dai tuoi schemi mentali e ti guida verso nuove prospettive.
Infine le mie mani hanno cominciato a produrre oggetti che la memoria mi rimanda dal passato e quel legame con la famiglia e la terra oggi sono vivi più che mai. Ecco, forse è qui il senso del mio lavoro. Un legame familiare che mi da il senso di appartenenza, di lavoro vero, di gente verace, come erano Vanni e mia nonna Nina.
Xoxo, Giusy @jdeebella